“Durante una marcia sulle montagne attorno ad Aosta ci sorprese un temporale; ritornammo in caserma inzuppati come pulcini. Il mattino seguente approfittando di un magnifico sole parecchi di noi appoggiarono gli scarponi sul davanzale per farli asciugare: inevitabile la punizione.
Qualche settimana dopo eravamo nel cortile, in un momento di riposo, quando alzando gli occhi verso la palazzina Comando notammo sul davanzale di una finestra al terzo piano un paio di scarponi.
La fortuna ci assisteva, nei pressi della finestra correva una grondaia. La reazione fu immediata; numerose vedette si portarono agli angoli del cortile pronte a dare l’allarme in caso arrivasse qualche ufficiale. io armato di due enormi tubetti, uno di dentrificio e l’altro di lucido da scarpe, mi avvicinai alla grondaia, uno “sputazzo” sulle mani e sù fino al terzo piano a compiere “ la mia missione punitiva!!” Scaricai completamente i due caricatori non convenzionali negli scarponi. Non ricordo a quale ufficiale superiore appartenessero.
Qualche volta anche il sottoscritto andava in libera uscita. Quella sera uscimmo e come consuetudine il gruppo dei fedelissimi fece un passaggio alla Standa con la scusa di fare acquisti, ma in effetti era per lustrarci gli occhi con le commesse. Non ricordo chi di noi, per ridere, acquistò un paio di mutandine da donna del tipo che quando non contengono l’oggetto del desiderio si arricciano come una pallina.
Rientrammo un po’ prima della ritirata, lo spaccio era gremito e fortuna volle che notassimo tra gli allievi il “mitico” S.Tenente Fidanza. Il gruppo di fedelissimi si guardò negli occhi e, come è vero che quando c’è affiatamento le parole sono superflue, senza nè preparazione nè copione decidemmo di fare uno scherzo al S.Tenente.
Io presi quel paio di mutandine e me le infilai giù per la cinghia dove in quel periodo era di casa “la fantasia” e quindi le rimisi in tasca. A questo punto ci avvicinammo al bar dello spaccio dove c’era il S.tenente Fidanza ed alla fatidica domanda del S.Tenente: “Come va ragazzi?”, Colombo, recitando da grande attore, rispose che poteva andare meglio se mi puniva più sovente in modo da impedirmi di andare in libera uscita.
Il S.Tenente Fidanza mi chiamò presso di sè domandandomi cosa avessi combinato e, più lui domandava più io negavo. Nella sala intanto calò un sospettoso silenzio. A quel punto Colombo, fingendo di farsi estrarre una verità che non avrebbe mai voluto rivelare, inventò la “storia” di una magnifica turista bionda che io da grande “assaltatore” avevo abbordato e convinta a seguirmi in albergo, mentre loro rodendosi il fegato mi aspettavano fuori seduti su un muretto.
Il S.Tenente era incredulo, ma il viso gli lampeggiava come un albero di Natale! Intanto Colombo, con la tecnica delle mezze parole, terminò dicendo che in ricordo di quei magnifici momenti mi ero fatto regalare quel simbolico “trofeo”. Io logicamente mi fingevo reticente e continuavo a negare tutto.
Quando il S.Tenente fu “cotto” al punto giusto, fingendomi oramai smascherato, estrassi di tasca quelle mutandine.
Nello spaccio il silenzio era irreale e tutti guardavano il sottoscritto, i miei temerari compagni ed il viso sbalordito del S.Tenente. Dopo un attimo di esitazione il S.Tenente prese le mutandine tra le mani, le voltò e rivoltò più volte poi lentamente le avvicinò al naso e con espressione da grande intenditore escalmò la storica frase: “si sente ancora l’odore di mussa!
Quello che successe dopo lo lascio immaginare a voi.”
Qualche settimana dopo eravamo nel cortile, in un momento di riposo, quando alzando gli occhi verso la palazzina Comando notammo sul davanzale di una finestra al terzo piano un paio di scarponi.
La fortuna ci assisteva, nei pressi della finestra correva una grondaia. La reazione fu immediata; numerose vedette si portarono agli angoli del cortile pronte a dare l’allarme in caso arrivasse qualche ufficiale. io armato di due enormi tubetti, uno di dentrificio e l’altro di lucido da scarpe, mi avvicinai alla grondaia, uno “sputazzo” sulle mani e sù fino al terzo piano a compiere “ la mia missione punitiva!!” Scaricai completamente i due caricatori non convenzionali negli scarponi. Non ricordo a quale ufficiale superiore appartenessero.
Qualche volta anche il sottoscritto andava in libera uscita. Quella sera uscimmo e come consuetudine il gruppo dei fedelissimi fece un passaggio alla Standa con la scusa di fare acquisti, ma in effetti era per lustrarci gli occhi con le commesse. Non ricordo chi di noi, per ridere, acquistò un paio di mutandine da donna del tipo che quando non contengono l’oggetto del desiderio si arricciano come una pallina.
Rientrammo un po’ prima della ritirata, lo spaccio era gremito e fortuna volle che notassimo tra gli allievi il “mitico” S.Tenente Fidanza. Il gruppo di fedelissimi si guardò negli occhi e, come è vero che quando c’è affiatamento le parole sono superflue, senza nè preparazione nè copione decidemmo di fare uno scherzo al S.Tenente.
Io presi quel paio di mutandine e me le infilai giù per la cinghia dove in quel periodo era di casa “la fantasia” e quindi le rimisi in tasca. A questo punto ci avvicinammo al bar dello spaccio dove c’era il S.tenente Fidanza ed alla fatidica domanda del S.Tenente: “Come va ragazzi?”, Colombo, recitando da grande attore, rispose che poteva andare meglio se mi puniva più sovente in modo da impedirmi di andare in libera uscita.
Il S.Tenente Fidanza mi chiamò presso di sè domandandomi cosa avessi combinato e, più lui domandava più io negavo. Nella sala intanto calò un sospettoso silenzio. A quel punto Colombo, fingendo di farsi estrarre una verità che non avrebbe mai voluto rivelare, inventò la “storia” di una magnifica turista bionda che io da grande “assaltatore” avevo abbordato e convinta a seguirmi in albergo, mentre loro rodendosi il fegato mi aspettavano fuori seduti su un muretto.
Il S.Tenente era incredulo, ma il viso gli lampeggiava come un albero di Natale! Intanto Colombo, con la tecnica delle mezze parole, terminò dicendo che in ricordo di quei magnifici momenti mi ero fatto regalare quel simbolico “trofeo”. Io logicamente mi fingevo reticente e continuavo a negare tutto.
Quando il S.Tenente fu “cotto” al punto giusto, fingendomi oramai smascherato, estrassi di tasca quelle mutandine.
Nello spaccio il silenzio era irreale e tutti guardavano il sottoscritto, i miei temerari compagni ed il viso sbalordito del S.Tenente. Dopo un attimo di esitazione il S.Tenente prese le mutandine tra le mani, le voltò e rivoltò più volte poi lentamente le avvicinò al naso e con espressione da grande intenditore escalmò la storica frase: “si sente ancora l’odore di mussa!
Quello che successe dopo lo lascio immaginare a voi.”